Sulla responsabilità per infortuni presso macchine non conformi
Qualora un infortunio sia dipeso dalla utilizzazione di macchine o impianti non conformi alle norme antinfortunistiche, la responsabilità dell’imprenditore che li ha messi in funzione senza ovviare alla non rispondenza alla normativa suddetta non fa venir meno la responsabilità di chi ha costruito, installato, venduto o ceduto gli impianti o i macchinari stessi. Questo è quanto emerge dalla lettura di questa recente sentenza della IV Sezione penale della Corte di Cassazione.
Viene riconosciuta altresì, si legge ancora nella sentenza, la responsabilità del venditore allorquando, pur essendo conoscibile la non conformità di un macchinario alle prescrizioni in tema di sicurezza, lo stesso non si sia attivato per eliminare la difformità prima della vendita.
Sono due principi questi riguardanti la sicurezza di macchine e impianti che la suprema Corte ha ribadito in questa sentenza, chiamata a decidere su un ricorso avanzato da un concedente in uso di un macchinario condannato nei due primi gradi di giudizio perché ritenuto responsabile dell’infortunio accaduto a un lavoratore durante il suo utilizzo per non avere in particolare verificato le sue condizioni di sicurezza prima della consegna all’utilizzatore.
L’infortunio del lavoratore era avvenuto in particolare in un cantiere edile per la caduta di un pannello mentre lo si stava sollevando mediante una gru a causa di un difetto di una ventosa utilizzata per la sua presa.
Avendo la difesa del ricorrente sostenuto che l’obbligo di verifica delle condizioni di sicurezza del macchinario gravasse sull’utilizzatore e da fare prima di ogni utilizzo, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso stesso chiarendo che sia il concedente che l’utilizzatore del macchinario hanno entrambi obblighi precisi in materia di sicurezza sul lavoro. Il concedente ha, infatti, l’obbligo di verificare le condizioni di sicurezza del macchinario prima della consegna all’utilizzatore e quest’ultimo ha l’obbligo di verificare le condizioni di sicurezza del macchinario prima di ogni utilizzo nonché di adottare tutte le misure necessarie per la sicurezza dei lavoratori.
Il fatto e l’iter giudiziario
La Corte d’ Appello ha confermata la sentenza con la quale il Tribunale ha condannato il legale rappresentante di una società che aveva concesso in uso a un’altra società una ventosa da sollevamento per il reato di lesioni colpose ai danni di un lavoratore che era stato colpito e fatto cadere a terra da un pannello coibentato staccatosi dalla presa di tale ventosa utilizzata per il sollevamento.
Secondo la la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, basata sulle dichiarazioni della persona offesa e di altri testimoni nonché sulla documentazione e sulla consulenza ordinata dal PM, il lavoratore infortunato era intento a lavorare all’interno di un cantiere edile per la realizzazione di un capannone industriale e stava procedendo, in particolare, insieme ad altri due colleghi, al posizionamento di pannelli sul tetto per mezzo di una gru alla quale il singolo pannello veniva agganciato a mezzo della ventosa oggetto dell’imputazione.
Secondo le dichiarazioni del lavoratore ferito e dei colleghi il giorno dell’infortunio era stato il primo giorno di utilizzo della ventosa; i lavoratori addetti non avevano ricevuto altresì alcuna istruzione sulle verifiche da effettuare prima dell’utilizzo (stato delle ventose, caratteristiche delle superfici sulle quali applicarle, posizionamento dei lavoratori).
Il teste dello Spisal aveva visionato il macchinario la sera stessa dell’infortunio avvenuto, verificando le condizioni delle ventose (alcune delle quali rinvenute lesionate) e si era recato il giorno successivo presso il cantiere per azionare la macchina che aveva funzionato sia pure impiegandola però per sollevare un pannello a pochi centimetri da terra.
Dal canto suo, il consulente nominato dall’accusa aveva esaminato le guarnizioni e verificato che esse presentavano la colla impiegata fratturata, inadatta a garantire la tenuta in aspirazione e che altre presentavano abrasioni e lacerazioni, cinque delle quali con una discontinuità superiore al millimetro di larghezza, concludendo per lo stato pessimo delle stesse.
Oltre alle lacerazioni, era stato accertato che non erano in pezzo unico, ma assemblate tramite colla. Quanto ai pannelli, inoltre, l’esperto aveva constatato che la loro superficie non era perfettamente piana, ma che le ventose potevano funzionare ove collocate in maniera da coinvolgere la parte piana.
Il giudice di primo grado aveva ritenuto che i difetti riscontrati sul macchinario erano preesistenti al momento della concessione in uso dello stesso e aveva escluso che lo stato di usura riscontrato dal consulente tecnico del PM e dal tecnico Spisal fosse conseguenza di un utilizzo avvenuto già nei tre giorni in cui l’utente lo avesse avuto a disposizione. L’utilizzatore, peraltro, aveva ammesso a suo discapito di aver consegnato ai propri lavoratori un macchinario che presentava guarnizioni non nuove e con segni di usura (ammaccature, taglietti). Lo stesso giudice ha poi esaminato le spiegazioni alternative proposte dalla difesa, anche a mezzo dell’apporto conoscitivo di un proprio esperto, ritenendole inverosimili: quanto all’asserito danneggiamento riportato dalla ventosa al momento del suo trasporto dopo l’infortunio. Le fotografie avevano infatti consentito di accertare che le ventose erano rimaste sollevate e non potevano esser state sfregate a terra, lo sfregamento avendo potuto spiegare in ogni caso solo le abrasioni, ma non anche le scollature.
Il giudice inoltre quanto all’errore umano, asserito in relazione alla circostanza che durante la prova effettuata il giorno dopo, la macchina aveva funzionato, ha precisato, secondo quanto riferito dal consulente tecnico del PM, che la prova era stata fatta dopo un periodo di riposo che poteva consentire alle guarnizioni, data la natura gommosa del materiale con il quale erano fatte, di recuperare un po’ di elasticità, ma soprattutto ha valorizzato la circostanza che la prova era stata effettuata senza oscillazioni e mediante il sollevamento del pannello, a meno di mezzo metro in posizione orizzontale e per un breve lasso temporale, il che rendeva del tutto incomparabile tale prova rispetto alle condizioni nelle quali il macchinario era stato utilizzato in occasione dell’infortunio; sotto altro profilo, poi, ha escluso l’errore umano, ipotizzato con riferimento a un prematuro sganciamento del pannello, osservando che l’operazione presupponeva necessariamente che il pannello fosse posizionato e fissato sul tetto, dovendo l’operaio calarsi con la cesta di contenimento sul pannello per azionare il decompressore che si trovava al centro di esso che, quindi, non poteva trovarsi ancora sospeso.
La Corte territoriale ha confermata la condanna in ordine al reato di lesioni colpose e ha ritenuto in particolare integrato l’addebito di colpa specifico (art. 23 D. Lgs. n. 81/2008), per avere l’imputato concesso in uso un macchinario non in perfetto stato di manutenzione, valutando le censure difensive inerenti alle caratteristiche delle guarnizioni incriminate del tutto eccentriche rispetto all’imputazione, con la quale si era contestato il cattivo stato di manutenzione dell’accessorio concesso in uso, anche in considerazione delle tempistiche (lasso tra la consegna e l’utilizzo e tra l’infortunio e le verifiche Spisal).
Quanto, invece, al mancato azionamento dell’allarme acustico, la Corte di Appello ha condiviso la conclusione del Tribunale che aveva ritenuto la circostanza irrilevante, posto che l’inserimento del dispositivo doveva avvenire manualmente prima dell’azionamento del macchinario e che i lavoratori non avevano ricevuto alcuna formazione in merito (lo stesso libretto d’uso chiarendo in maniera irrefutabile che il dispositivo doveva essere attivato a inizio lavoro ponendo la leva in posizione “ON”).
La Corte territoriale ha parimenti condiviso il giudizio di irrilevanza degli esiti della prova effettuata il giorno dopo dal tecnico Spisal richiamando le diverse condizioni nelle quali era stata condotta rispetto alla lavorazione durante la quale era avvenuto l’infortunio, affermando altresì che quella verifica non aveva connotati probatori, siccome non espletata con esperimento giudiziale, disconoscendone lei valenza falsificatoria del ragionamento probatorio basato su altri elementi.
Il ricorso per cassazione e le motivazioni
La difesa dell’imputato ha proposto ricorso, formulando alcune motivazioni. La stessa ha sostenuto innanzitutto che l’onere di verifica delle condizioni del macchinario è gravante sull’utilizzatore. Ha osservato in merito che si tratta di una verifica da effettuarsi sempre e non periodicamente e che, siccome prescinde dall’uso e dalla manutenzione potendo anche minimi eventi compromettere il buon funzionamento, l’obbligo riconosciuto in capo all’imputato sarebbe sostanzialmente impossibile da osservare, a differenza dell’utilizzatore che può svolgere detto controllo ogni qualvolta utilizzi il macchinario; lo stesso esperto Spisal aveva del resto confermato che dal momento in cui la macchina viene consegnata l’utilizzatore deve verificarne lo stato di manutenzione. Quanto al lasso temporale tra la consegna e l’infortunio (tre giorni), il deducente ha rilevato che l’osservazione dei giudici del merito era viziata da aggravata illogicità, dal momento che l’utilizzatore/datore di lavoro aveva l’obbligo di effettuare comunque la verifica del buono stato delle guarnizioni, a prescindere dalla durata di tale lasso temporale, considerato peraltro che l’imputato non era un noleggiatore professionale, ma l’aveva solo prestato all’utilizzatore perché lo stesso potesse provarlo ai fini di un eventuale, successivo acquisto e che il macchinario non era stato consegnato al cantiere edile, ma prelevato dallo stesso utente, provato e, poi, da questi trasferito sul cantiere edile.
La Corte territoriale inoltre ai fini della valutazione, secondo il ricorrente, non avrebbe dovuto considerare solo il breve lasso temporale, quanto semmai l’uso fatto del macchinario in quel frangente, potendo anche l’impiego per pochi minuti determinare il grave deperimento delle guarnizioni, tenuto anche conto della mancata formazione del personale addetto all’utilizzo del macchinario.
Secondo il deducente, inoltre, l’istruttoria avrebbe dimostrato che era obbligo del datore di lavoro verificare lo stato delle guarnizioni prima dell’inizio del lavoro, essendo emerso che, nell’occorso, ciò non era stato fatto, verifica ancor più necessaria posto che il sollevatore era già stato usato dall’utilizzatore il sabato precedente. Inoltre, la movimentazione dei pannelli doveva avvenire solo a mezzo cinghie, il POS non contemplando alcun sollevatore, considerata anche la natura dei pannelli, la cui superficie non era piana, ma “grecata”; inoltre, era mancata la prova che tali mancanze fossero state portate a conoscenza dell’imputato. Pertanto, secondo il ragionamento difensivo, anche ove le guarnizioni fossero state in perfetto stato, la condotta omissiva ascritta all’imputato era stata del tutto ininfluente sul decorso causale, non avendo inciso sul determinismo dell’evento stanti le violazioni di obblighi di prudenza da parte del datore di lavoro e dei lavoratori.
Il Procuratore generale, in persona del suo sostituto, ha concluso per l’annullamento del provvedimento impugnato con rinvio per un nuovo esame e la difesa ha depositato conclusioni scritte, con le quali, richiamati i motivi di ricorso e le conclusioni del Procuratore generale, ha insistito nell’accoglimento del ricorso.
Le decisioni in diritto della Corte di Cassazione.
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile dalla Corte di Cassazione.
La difesa, secondo la stessa. reiterando una tesi già dibattuta nel giudizio d’appello, ha riproposto il tema dell’esistenza dell’obbligo del concedente in uso del macchinario di verificarne le condizioni prima della consegna, ritenendo che esso incomba sull’utilizzatore prima di ogni utilizzo.
Tale tesi è smentita, intanto, dal chiaro tenore dell’imputazione, con la quale si è espressamente rimproverato all’imputato di aver concesso in uso alla ditta utilizzatrice un macchinario non rispondente alle disposizioni legislative e regolamentari in materia di salute e sicurezza sul lavoro, dal cui utilizzo è derivato l’evento (art. 23, D. Lgs. n. 81/2008, norma che riproduce esattamente l’abrogato art. 6, comma 2, D. Lgs. n. 626/1994) e dai principi più volte formulati dalla giurisprudenza di legittimità in ordine alla concorrenza delle due posizioni di gestori del rischio (quella, cioè, del fabbricante/venditore/noleggiatore/concedente del macchinario e quella dell’utilizzatore/datore di lavoro).
Nella specie le lesioni erano state cagionate dall’impiego di un macchinario ad uso lavorativo cosicché, qualora un infortunio sia dipeso dalla utilizzazione di macchine o impianti non conformi alle norme antinfortunistiche, la responsabilità dell’imprenditore che li ha messi in funzione senza ovviare alla non rispondenza alla normativa suddetta non fa venir meno la responsabilità di chi ha costruito, installato, venduto o ceduto gli impianti o i macchinari stessi, citando fra le altre sentenze prese a riferimento la sentenza della IV Sezione penale n. 41147 del 12/11/2021, pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo “Un infortunio dovuto alla carenza di sicurezza di una macchina”.
Tali principi, peraltro, ha così aggiunto la suprema Corte, sono stati successivamente ripresi, riconoscendosi la responsabilità del venditore allorquando, pur essendo conoscibile la non conformità del macchinario alle prescrizioni in tema di sicurezza, egli non si sia attivato per eliminare la difformità prima della vendita. Trattasi, peraltro, di divieto non limitato al fornitore professionale della macchina, il relativo obbligo incombendo anche su chi l’abbia ceduta solo occasionalmente. Va, poi ricordato che neppure una formale certificazione attestante la rispondenza alle misure esonera il venditore (ma, si ritiene, anche il cedente) per le lesioni derivanti da un infortunio sul lavoro per effetto dell’impiego del macchinario difettoso, citando come precedente di riferimento la sentenza della IV Sezione penale n. 18139 del 14/5/2012, pubblicata e commentata dallo scrivente nell’articolo “La responsabilità del venditore per la mancata sicurezza di una macchina”
Nel caso all’esame quindi entrambi i giudici del merito hanno ritenuto che il vizio del macchinario non consistesse nella dotazione di guarnizioni non originali (ciò che era stato contraddetto dagli esiti dell’istruttoria, essendo emerso che le guarnizioni erano compatibili con quelle in dotazione all’epoca di costruzione della ventosa); ma hanno, al contempo, precisato, sulla scorta della disamina delle evidenze raccolte, sulle quali questa Corte non può essere chiamata, per i principi sopra esposti, a compiere una rivalutazione nei termini ritenuti più convincenti dalla difesa, che le guarnizioni installate sul mezzo ceduto in uso erano danneggiate o, comunque, inadatte a garantire un funzionamento in sicurezza del dispositivo e che proprio da tale condizione era dipeso il distacco del pannello.
Avendo poi in conclusione ritenute infondate anche le altre motivazioni del ricorso, la Corte di Cassazione lo ha dichiarato inammissibile e ha condannato di conseguenza il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero in ordine alla causa di inammissibilità (Corte cost. n. 186/2000).
Fonte: puntosicuro.it